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Salvate le Alpi

maurizio

A cura di:

Data: 29/06/2001
Come testimonia la data di pubblicazione (l’originale tedesco è del 1997) non si tratta di una novità del mercato, ma questo libro, di un autore che non necessita di alcuna presentazione, non può essere dimenticato proprio in questo 2002, Anno Internazionale delle Montagne. Come testimonia la data di pubblicazione (l’originale tedesco è del 1997) non si tratta di una novità del mercato, ma questo libro, di un autore che non necessita di alcuna presentazione, non può essere dimenticato proprio in questo 2002, Anno Internazionale delle Montagne. In neanche cento pagine molto intense si espone tutto il “Messner-pensiero” riguardo allo stato di salute delle montagne, della loro cultura, del modo di frequentarle e/o affrontarle. Dato il calibro dell’autore e la forza provocatoria delle sue affermazioni, non si può restare indifferenti. L’analisi di base credo sia largamente condivisa: le montagne, così massicce ed imponenti, sono in realtà un ecosistema fragile, messo in pericolo dal turismo di massa, dallo spopolamento, dal trasferimento dello stile di vita cittadino a quote superiori. E più queste montagne sono lontane dall’occidente opulento, più subiscono oltraggi sfrontati, come l’Everest, diventato un paradigma sia del potere d’acquisto di aspiranti avventurieri, sia del degrado ambientale, con le sue discariche a cielo aperto fino ad 8000 metri. Le conclusioni sono però difficili da digerire, anche se sono poi sfumate nella loro originale spigolosità: «Le montagne sono un luogo per pochi, non un campo giochi per tutti». A Messner non piacciono l’arrampicata sportiva, la mountain bike, il trekking, le piste da sci e tutta quella serie di attività pseudo sportive estreme, dal bungee jumping al wall running. Non gli piacciono le pareti piene di spit luccicanti e soprattutto l’aggiunta abusiva di chiodi di sicurezza lungo le vie storiche. Non gli piace l’alpinismo mordi e fuggi di scalatori super accessoriati, tecnicamente validi, ma per i quali conta solo la prestazione da primato. Non gli piacciono le funivie, i rifugi, le strade di accesso ed i sentieri troppo numerosi e frequentati... «Il problema non è il singolo scalatore o escursionista, ma sono le orde di invasori, le lunghe colonne di escursionisti, le truppe di scalatori, che, nelle zone alla moda, obiettivo dei loro desideri, rappresentano un peso costante». Il meccanismo è perverso: i turisti cittadini, portatori di risorse economiche cercano facilità di accesso, confort, avventura senza rischio, puro divertimento. Le montagne si animano fin troppo, fino a snaturarsi: i paesi agricoli diventano cittadine, i contadini albergatori, e le campagne giacciono in abbandono, i villaggi rurali crollano e con essi molte delle ragioni che prima portavano i turisti ad interessarsi a quei luoghi. Se viene difficile digerire la tesi del rischio come fattore discriminante per attirare ed accogliere il vero alpinista e respingere in pianura il “turistaccio” molesto, assai più accessibile appare l’affermazione che «Non sarà l’élite ecologista a salvare le Alpi, bensì chi rifiuta il consumismo per parsimonia, chi si accontenta di accamparsi in una baita, di ricevere pane e formaggio dai montanari e di camminare con le proprie gambe. (...) In montagna, tra fondovalle e pascoli d’alta quota, si ha bisogno del “turista mite” che riceve e paga i prodotti del contadino, per contribuire alla sua permanenza nel luogo dove vive da generazioni». L’equilibrio tra sfruttamento del territorio, aspettative della popolazione locale e domanda da parte delle masse cittadine è ben lungi dall’essere raggiunto. La questione è da tempo ufficialmente posta. Si tratta di non lasciarla cadere perché è di vitale importanza. Il contributo alla discussione apportato da Messner è di quelli “pesanti”, scomodi, che ci lasciano con un sacco di interrogativi interiori. Ma proprio per questo tutti dovremmo conoscere e meditare su certe tesi, perchè solo con la consapevolezza della gravità di un problema si può sperare di riunire la volontà generale, e modificare certi comportamenti, nello sforzo di contribuire ad una soluzione universalmente accettabile.