L'ultima Camel Blu

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Ritratto di alberto_pezzini
alberto_pezzini

I libri di montagna sono difficili da scrivere. C’è sempre la possibilità di ripetersi. E’ come un crepaccio in cui ti può finire la penna. O la storia che stai per raccontare. E’ bello invece quando la penna sa di roccia. Di calcare, di mani che cercano la parete. E lo scrittore riesce a trasmetterti quel senso di sudore, crampi alla gambe, panico e gioia immensa se sali in cima. Ed il cuore fa un tuffo all’impicchiata – proprio così – verso il fondovalle dove le luci si accendono dietro le finestre.
Camanni conosce la montagna. Ne è innamorato. Ne vive il respiro da solo. E’ un poeta delle cime. Non ha bisogno di molto per fare luce sulle pagine. Gli bastano parole ruvide, sparse qua e là secondo un ordine che tira sempre alla melanconia.

Camanni è un autore pessimista, o malinconico in maniera tinta di scuro? Camanni è la montagna. Nel senso che sa imprigionare nelle sue storie l’anima più vera che le montagne possiedono. Luce, colore, sole che acceca e fa sudare come maiali ma anche una terribile sensazione di vacuità e paura del domani. Come dice nel suo libro, il mare aperto fa paura.
Sembra che però – accanto a questo lato intimista – sappia anche decifrare da vicino e molto bene il mondo terreno delle montagne. Quello delle Guide alpine, e dei loro clienti. Un’area decisamente particolare fatta di parecchia umanità. Nel senso che la guida è sempre quello che ne sa più del cliente uomo, e che può anche far innamorare la cliente donna. Ma fino a quando dura il walzer sulle crode. Poi si ritorna a valle, si perde quell’aura di misticismo maschile che fa molto sexy, e la carrozza torna ad essere una zucca. E tu guida torni ad essere solo con un letto sfatto e mille cicatrici che ti attraversano il viso e soprattutto un cuore più stropicciato del tuo letto.
E’ bella la capacità di Camanni di scendere nella vita di una guida. Per chi ama la montagna, sa che è così come l’autore riesce a descriverla. Ad agosto il mondo delle guide è un alveare che non si ferma. E se hai delle ferite interiori, è bello avere la possibilità di non fermarsi per un poco. Soltanto il fisico sembra dolere quando ti devi alzare al mattino. Ma per poco chè l’allenamento di una guida è una carta di accesso al benessere psico – fisico perenne. Oppure ad una sorta di prostrazione delle giunture oltreché dell’anima perché beve troppe emozioni in una vita soltanto.
Mi piace la lente di Camanni. Accanto alla vita di una guida lascia scendere attraverso le parole – come sassi che spezzano una gamba – gli spaccati di vita interiore dell’uomo. Bellissimi e radiosi come l’alba sul Monte Bianco, oppure tristi, bui, dolenti come il vino quando uccide la mente.
Camanni ci fa sapere il tipo di vita, il menage di una guida. Sospesa tra il dolore di una separazione e la montagna. Si vive un’avventura spensierata, tutta appesa al destino di due persone scomparse. Il filo che si dipana dall’inizio del libro – l’inizio della ricerca – è sottile come un capello biondo, quasi un’ombra al sole. Poi comincia ad assumere una consistenza più spessa, quasi canapa bagnata dalla salsedine. Alla fine, quella ricerca diventerà una corda da barca, dura come il legno, e difficile da sciogliere se non con braccia nodose, abituate alla fatica all’alba.Al vento.
Si legge il libro e si viene presi da quella corda che ti porta in cima. Prima piano, con un ritmo scelto apposta, e poi avvitati verso la cima per sapere se quelle due persone verranno salvate. Facendo il tifo non tanto per il salvataggio, ma per quello che ci sarà dopo. Una virata secca della vita, un decidere se prendere davvero la via del mare aperto. Anche se fa paura e di notte scende un freddo della madosca. Non ti bastano i pile, le coperte, perché per scaldarti veramente ci vuole l’amore.
Qui Camanni mette a nudo la sua vera faccia, quella che gli sta sotto quella pelle color tabacco da montanaro incallito. Ha un’anima sensibile, sotto il pile. Lieve come Catullo, un poeta bambino, in ritardo di duemila anni. Sono parole sue queste, non mie. Usa l’amore come un friend per scalare la vita degli affetti. Ci riesce anche perché la difficoltà non sta nella salita di una montagna. Sta nell’essere in grado di compiere una via di sesto grado sull’unica via che ti importi:quella del cuore di una persona precisa. Che magari arriva a cinquant’anni, così quella del professore che simula di perdersi su di una montagna classica e meravigliosa come una musica di pianoforte capace di dissolversi nel vento della sera.
La montagna come terreno dell’amore. Non è un tema nuovo, a dire la verità. Già un film bellissimo, e triste, ci aveva dato questo sapore. Però la mano di Camanni è delicata. Fragile come cristallo. Sa che in quella zona si può far male. Aspra è la salita dei sentimenti. Non esiste montagna più dura, più dolorosa. Sbozza il personaggio di un uomo che potrebbe dire di avere concluso ormai la propria parabola sentimentale. A cinquant’anni – anche se la cronologia dei sentimenti è avanzata come gli anni – non è facile prendere il coraggio e virare. Ci vuole una forza della madonna, santo Dio. E’ faticoso, fa paura, sembra di essere su di un vascello che sbatte contro gli scogli. Però alla fine devi scegliere e lo farai quando i soccorsi sono terminati. E’ in quel momento che comincerai a ricordare con maggiore struggimento i giorni in cui sei rimasto in cima ad una montagna a languire. Perché quell’avventura sta fuori dal tempo, sospesa come una corda doppia su cui ti puoi calare per la discesa.
Il tema del tradimento viene visto come una vittoria sul quotidiano che hai dovuto sorbirti per una vita. Quello che ti sei fatto sempre andare bene. Per non deragliare. Non diventa un tradimento, ma quasi una diserzione per chi lo scopre. E c’è una frase bellissima, assolutamente capace di prenderti lo stomaco con uno schiocco d’acciaio: convinti di poter possedere l’amore delle persone, non erano preparati alla sconfitta.
Questo è il senso di tutto il libro. Come la montagna, come il mare, non si può mai essere convinti di possederli. Altrimenti la sconfitta diventa una Waterloo insormontabile, ed una discesa in un maelstrom cieco che rende ciechi i sensi.
I protagonisti del libro sono liberi, però. Come la montagna, passano dal calore innaturale di una stagione splendida di salite e cieli color cobalto, ad una tempesta fatta di minuscoli aghi di ghiaccio che sembrano gocce d’acqua ma sono la reazione della natura quando il caldo la soffoca troppo. Come una donna controllata alla nausea che alla fine ti tradisce per davvero. E fa ancora più male.
Questo è un libro per amanti della montagna. Per amanti. Per poeti vecchi di anni ma freschi nell’anima che va su. Questo è un libro di una guida come ce ne sono tante. Con i suoi dolori, i suoi ritmi, i suoi momenti di calma, e la sua infinita solitudine. Camanni non riesce a cancellare un senso di smagamento profondo alla fine delle sue pagine. Forse è l’anima di Catullo, che compare spesso agli inizi del capitolo, forse è quell’amore maledetto che ha tormentato il poeta del lago, o forse è quella sensazione che in montagna fa piangere certe persone. Un senso inspiegabile di solitudine, paura, e terribile senso del vuoto. Forse, semplicemente, Camanni ha fotografato la vita. Là dove il cielo sembra nero anche se una stella brilla sempre in fondo alla valle. Per sentirsi meno soli.

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